LA TERRA DELLE ARIETTE

Quando siamo arrivati, nell'autunno dell'89, la terra delle Ariette era già lì.
Non l'abbiamo mai vista come un campo da coltivare, piuttosto un mondo da abitare, un punto d'incontro, un tramite tra noi e il mistero. Una maestra da cui imparare a guardare, ascoltare, farsi domande. Ha aperto in noi la strada del dubbio e della scoperta. Terribile e meravigliosa, avara e generosa, dura e tenera senza motivo, proprio come la vita.
Quando nei primi anni i genitori di Paola ci hanno guidato senza saperlo, con la loro semplice presenza, nella scoperta del dialogo tra l’uomo e la terra, è stata capace di riconciliare le generazioni, di avvicinarle.
Su questa terra ho seminato il grano per la prima volta e per la prima volta l'ho raccolto.
Per la prima volta ho scavato una fossa per seppellire un animale e scavato una buca per piantare un albero.
Per la prima volta ho visto nascere un agnello.
Per la prima volta ho guardato la vita e la morte negli occhi.
Paola no, lei queste cose le faceva da piccola, lei è nata contadina. Lei sa senza bisogno di sapere.
A questa terra abbiamo sottratto centosettanta metri quadrati per costruirci sopra un teatro. Ancora oggi ci domandiamo se abbiamo fatto bene, ma anche questo è venuto così, come un figlio, un albero che germoglia.
Su questa terra coltiviamo le cose che mangiamo, alleviamo animali, facciamo la legna per scaldare l'inverno.
È sempre più difficile piantarci dentro un aratro, passarci sopra con un grosso trattore. Sappiamo che era selvaggia e che l'uomo l'ha addomesticata, ma dal suo cuore spunta sempre il lato selvaggio. Con quello noi dialoghiamo cercando il punto di equilibrio. Missione impossibile, ma appassionante, non basta una vita, se fosse possibile ce ne vorrebbero almeno due, con diritto di proroga.
La terra delle Ariette resta, noi passiamo.

 


La terra delle Ariette