23.03.2014
ELENA BUSANI

Mi chiamo Elena, ho 45 anni, abito a Castelnuovo Rangone, nel modenese, dove sono finita un po' per caso qualche anno fa, spero di non morirci. Ho studiato scienze politiche e da 20 anni mi occupo di immigrazione, che per me vuol dire occuparsi innanzitutto di persone, di storie e di diritti.
Il mio rapporto con il teatro ha delle tappe precise, ed è legato a delle stagioni e a delle persone della mia vita: è iniziato a 15 anni, ero al liceo, e grazie alla madre di una compagna di classe, nonché cara amica, che era assessora, tramite il suo accredito culturale, ho avuto la fortuna per diversi anni di poterci andare gratuitamente. Sarebbe stato per me impossibile altrimenti andare a teatro e credo sia stato uno dei regali più belli che ho ricevuto e proprio per questo oggi amo regalare teatro, soprattutto ai più giovani.
Poi per molti anni ci sono andata raramente, era subentrato il cinema, dove lavoravo per mantenermi agli studi e questo mi permetteva di entrare in tutti i cinema della città.
È stato il regalo di un amico cinque anni fa, è stata l'Odissea di Cesar Brie che mi ha riportato a teatro, sconvolta dalla bellezza dello spettacolo, fatto di nulla, dopo di lui Paolini, l'Archivio Zeta, e due anni fa le Ariette, dove era destino che dovessi arrivare, perché diverse donne a me care, me ne avevano parlato, due infine mi ci hanno portata.
Oggi per me teatro vuole dire soprattutto questo luogo, queste terre, questi comuni, un certo modo di lavorare, di fare e promuovere cultura, una cultura che parte dai luoghi, dal quotidiano, dall'attualità, dall'incontro, direbbe Braudel, delle microstorie, quelle di ciascuno di noi, con la macrostoria.
Riconosco di essere una spettatrice un po' di parte, che cerca che cosa? Innanzitutto emozioni, impegno civile e politico, memoria, quotidianità, familiarità.
Teatro è la magia di una storia, di una scena, di corpi vibranti, vivi, di sudore, di lacrime, di voci che danno anima a quella storia. Teatro è improvvisazione, trasformazione, il potere di un gesto, di una parola che ti rimane negli occhi, che si fissa nella memoria. Per questo amo il teatro essenziale, fatto di pochissimi elementi, mi piace stupirmi dinanzi alla magia degli elementi naturali, l'uso della sabbia, l'acqua, il fogliame, le suggestioni che si possono creare con pochissimo.
Teatro è anche un lavoro su di sé, partendo dalle proprie biografie, dalla scrittura. Non ho mai fatto teatro, forse perché da piccoli ci imponevano quelle assurde recite scolastiche, che odiavo profondamente. Di recente però ho avuto la fortuna di creare un lavoro molto bello con alcuni ragazzi di origine straniera e lì ho capito il potere evocativo del teatro.
Siamo partiti per gioco dal mettere insieme pezzi di biografie scolastiche, prodotti da loro ai tempi dell'inserimento in Italia e a scuola. Tutto quel materiale doveva divenire un testo ed io mi dovevo occupare di redigerlo. Da subito ho rilanciato la palla a loro, volevo che fossero loro a scegliere i testi e la successione, perché era il loro libro, non il mio. Per un inverno abbiamo discusso, letto e riletto i testi scelti, alcuni molto dolorosi, e leggendoli ad alta voce ci siamo emozionati, abbiamo pianto, e ho capito che si poteva fare di più, si poteva interpretarli quei testi, salire su un palco e recitarli. E cosi hanno fatto, in un bellissimo pomeriggio di due anni fa, dinanzi a quasi 200 persone, che forse emozionandosi hanno capito qualcosa di più di questa realtà.
Ecco, questo per me è teatro, un lavoro innanzitutto su di sé, che permette ad altri di riconoscersi e di conoscere. Grazie a Stefano, ad esempio ho fatto la mia prima salsa verde, effetto imprevisto del teatro!
Grazie