29.06.2014
BARBARA VAGNOZZI

Cari tutti
Ho partecipato a questi incontri con curiosità e attenzione, in silenzio. La materia teatro non è del tutto mia, era giusto che a parlare fosse chi lo vive da dentro, chi ha esperienze tangibili e concrete, chi ha risposte e chiavi di lettura appropriate alle domande in tavola.
Ho pensato però che forse dare voce a questo silenzio potrebbe, forse, forse, non essere del tutto inutile.
Sono una spettatrice, non del tutto aggiornata lo ammetto, ma non per disinteresse, la vita va così qualche volta.
Provo a fare un collage di cosa non ho detto un po' in risposta ad alcuni degli interventi fatti.
Provo un piacere fresco e vitale nel partecipare allo spettacolo, al rappresentarsi e condividersi della cultura nel senso più ampio e possibile del termine. Ne ricavo un piacere fisico e mentale che mi alimenta per lungo tempo. In realtà fatico a vivere senza.
Ogni mio approccio ad un lavoro teatrale, ad un concerto, ad un libro, ad una mostra, è in questo periodo soprattutto empirico. Ogni volta non so cosa sto cercando, ma ogni volta spero di trovarlo. E ne sono affamata.
Spero di trovare lo stimolo giusto, di avvicinarmi allo stato di stupore così tipico dell'infanzia e così ricco di promesse di creatività. Voglio ammirare, non solo guardare, voglio pensare e non solo sentire, voglio essere infastidita, per ritrovare quelle parti di me che hanno smesso di essere ribelli.
L'ultimo incontro si è aperto con una domanda di Stefano sul perchè negli anni settanta teatro era come pastone per pesci, mentre ora è così difficile farsi sentire e farsi capire.
Credo che fosse allora più diffuso un linguaggio comune che si è perso nel tempo. Sono cresciuta con Fo, Ronconi, Fellini in televisione, sono cresciuta in una città grande dove come in ogni città c'era un'offerta libera e continua di cultura aperta a tutti, e si partecipava tutti, senza chiedersi né prima né dopo quali fossero i contenuti o cosa debba essere l'arte. Non si doveva cercare il teatro, lo si aveva intorno continuamente.
Se si va in scena, se si scrive, se si dipinge, si usa nient'altro che un diverso linguaggio e non solo per comunicare, ma per essere, per costruire, per vivere un pezzetto di vita che è quella lì e basta. Ci si mette continuamente alla prova, è una sfida a sé stessi e agli altri ad ogni passo.
Tutto questo non deve essere sempre esplicito. L'immaginazione non è pigra, è fertile, lo sforzo di capire aiuta le intelligenze, il lasciarsi andare a cosa non si conosce aiuta ad esplorare paesi sconosciuti. Narrare, partecipare, è andare oltre le apparenze.
Quindi credo che lo stato mentale di chi fruisce il teatro sia cambiato, si è ristretto a pochi esploratori curiosi, ma solo perchè è così tanto più facile e più comodo andare in un villaggio turistico dove tutto è pronto e prevedibile.
Fatico a pensare che si debba chiedere ai ragazzi cos'è il teatro prima di una rappresentazione, blocca la disponibilità all'ignoto, li mette subito alla ricerca di risposte. E fatico a pensare al contenuto a prescindere. Il battito di un cuore morente messo di fronte ad un pubblico è un colpo forte, è la vita e la morte insieme, povero astice, si, ma anche le vongole fanno la tessa fine, è ipocrita fingersi moralisti solo perchè ci si è dovuti fermare e pensare a quella morte in quel momento.
Quando la ragione non basta l'empatia aiuta, una non esclude l'altra.
E per qualche motivo si è rinunciato ad educare. Politica e cultura vogliono "dare alle persone quello che le persone chiedono", falsa illusione naturalmente. La mia nonna totalmente illetterata e dalla vita difficile cantava l'opera mentre lavava i piatti, l'opera era per tutti non era destinata ad una elite in pelliccia. o ad una elite di intellettuali autoreferenziali.
Ho l'impressione che ora si cantino i jingle delle pubblicità e poco più. Vendere è più importante di educare. si sa.
Vorrei che ai miei figli si insegnasse come pensare e non cosa pensare, il come implica sperimentazione e pensiero critico attivo, il cosa è una scatoletta chiusa, con un fiocco sopra, è tutto qui, non ti preoccupare.
Mi piace invece il pizzicore all'appendice, è fastidioso e potente quando lo si sente sia come spettatore che come artista. E' lo stimolo primo, la matrice che ancora non ha forma, e da lì qualcosa nasce sempre.
Un buon lavoro a tutti.
Barbara Vagnozzi